La vendita forzata di aliud pro alio: invalidità, rimedi e termini – Tribunale di Catania – Sentenza del 08/03/2017
Tramite ricorso ex art. 702bis c.p.c. con richiesta al giudice di dichiarare l’invalidità della vendita trattandosi di vendita di “aliud pro alio”, in seguito al trasferimento di un immobile diverso da quello indicato nell’ordinanza di vendita e nella CTU, privo delle affermate regolarità amministrative, l’attore chiede l’obbligo per il convenuto di restituire la somma versata, dando la propria disponibilità a restituire l’immobile e chiedendo inoltre che il convenuto venga ritenuto responsabile dei danni subiti con quantum da determinarsi. Il convenuto si costituisce eccependo l’inammissibilità del ricorso, che in quanto opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. è stato proposto tardivamente dal ricorrente, il proprio difetto di legittimazione passiva e la carenza di responsabilità, l’insussistenza di vendita aliud pro alio. Chiede inoltre in subordine la chiamata in giudizio del CTU a cui va imputata la domanda risarcitoria, con vittoria di spese e compensi.
Il Tribunale di Catania con decisione del 08/03/2017 ha dichiarato inammissibile la domanda del ricorrente condannandolo al pagamento delle spese di lite nei confronti del convenuto.
La pronuncia si rivela importante in quanto approfondisce il tema dei rimedi esperibili nel caso in cui si configuri una vendita “aliud pro alio” all’interno di una procedura esecutiva.
A partire dalla distinzione tra vendita volontaria e vendita forzata, il Giudice specifica come quest’ultima non sia un incontro tra due volontà negoziali, ma miri a realizzare congiuntamente l’interesse pubblico connesso a ogni processo giurisdizionale e l’interesse privato dei creditori concorrenti e dell’aggiudicatario. Non può quindi esservi estesa analogicamente la disciplina afferente alla vendita volontaria, in quanto quella forzata avviene indipendentemente dalla volontà del debitore, ricollegandosi al provvedimento del Giudice dell’esecuzione (Cass. 9 giugno 2010 n. 13824, Cass. 27 febbraio 2004, n. 3970). L’oggetto della disciplina della vendita forzata va dunque ricostruito non secondo l’ermeneutica contrattuale ma in base ai contenuti degli atti del processo esecutivo, primo fra tutti il decreto di trasferimento. Il codice civile regola la vendita forzata e la stabilità dei suoi effetti, statuendo ad esempio l’inapplicabilità delle norme sull’eccezione di inadempimento (art. 1460 c.c.). Cass. 6 giugno 2001 n. 7659 afferma come anche la nullità delle clausole contrattuali per contrarietà a norme imperative (artt. 1418 e 1419 c.c.) vada fatta valere dal debitore con l’opposizione agli atti esecutivi, anche se d’altra parte la giurisprudenza ritiene compatibili con la natura dell’espropriazione forzata anche alcune norme del contratto di vendita, quali l’art. 1477 c.c. concernente l’obbligo di consegna della cosa da parte del venditore o l’art. 1499 c.c. relativo agli interessi compensativi. Sono escluse, a tutela della stabilità del trasferimento coattivo compiuto con la vendita forzata, le norme a tutela dell’acquirente quali quelle sulla garanzia per i vizi della cosa (art. 1490 c.c.), la rescissione per lesione (art. 1448 c.c.) e l’azione di risarcimento del danno (art. 1494 c.c.). L’art. 2922 c.c. non fa menzione della garanzia per vendita “aliud pro alio” e la dottrina è pervenuta a conclusioni contrastanti in merito, mentre la giurisprudenza della Corte di legittimità è orientata verso il riconoscimento di tale garanzia. In linea di massima l’acquirente risulta tutelato in tutti i casi in cui il bene oggetto dell’ordinanza di vendita non coincide con quello oggetto dell’aggiudicazione (Cass. 11018/1994, Cass 206/1978, Cass. 1698/1981). Dunque, quando la cosa oggetto della vendita forzata risulta, dopo il decreto di trasferimento, sensibilmente diversa da quella sulla quale è caduta l’offerta dell’aggiudicatario, viene meno il nucleo essenziale e l’oggetto stesso della vendita forzata, conseguendone la sostanziale nullità della stessa vendita e il diritto dell’aggiudicatario alla ripetizione di quanto versato.
Sorgono contrasti in merito ai rimedi a disposizione dell’aggiudicatario in casi di vendita “aliud pro alio”. La giurisprudenza non è univoca e ammette di volta in volta: azione generale di annullamento ex artt. 1427 e 1429 c.c., svincolata dall’opposizione agli atti esecutivi (Cass. 21249/2010; Cass. 10015/1998); azione generale di nullità parziale del negozio di vendita dipendente dall’incolpevole ignoranza della situazione di fatto dell’immobile da parte dell’aggiudicatario (Cass. 10320/1991); garanzia ex art. 1489 c.c. per cosa venduta gravata da oneri o diritti di godimento di terzi (Cass. 21384/2005); opposizione agli atti esecutivi per i soggetti del processo esecutivo diversi dall’aggiudicatario, mentre a favore di quest’ultimo ritiene applicabili i rimedi della vendita volontaria, oltre a quelli endoesecutivi a disposizione degli altri soggetti del processo (Cass. 4378/2012). Il Giudice argomenta a riguardo che l’ammettere l’aggiudicatario di aliud pro alio ad un’azione di nullità significa riconoscergli un diritto prevalente sullo stesso processo esecutivo, e limitare la sua tutela entro i termini ex 617 c.p.c. significherebbe condannare il processo esecutivo ad un esito solo formalmente giusto che potrebbe essere ribaltato dall’eventuale azione di nullità a disposizione dell’aggiudicatario; dovrebbe dunque ammettersi un’eccezionale estensione dei termini per l’opposizione ex art. 617 c.p.c.. Tale ricostruzione non è però accettabile, in quanto il processo esecutivo è strutturato come una successione di fasi autonome, e le situazioni invalidanti che in esse si verificano sono suscettibili di rilievo nelle fasi successive solo in quanto impediscano lo scopo del processo, ossia l’espropriazione del bene pignorato; al contrario, le situazioni invalidanti che non siano preclusive del conseguimento dello scopo del processo sono eccepibili solo mediante opposizione agli atti esecutivi nei termini di decadenza previsti (Cass. Sez. Un. 11178/1995; Cass. Sez. Un. 1201/2013; Cass. Sez. Un. 18185/2013). Le prime sono senz’altro quelle derivanti da vizi intrinseci dell’atto e attinenti a rilevanti profili formali, non quelle relative all’oggetto dell’atto. Inoltre, essendo la vendita forzata inserita nell’ambito del processo esecutivo, non sono esperibili le azioni a presidio della vendita volontaria, ma esclusivamente i rimedi propri del processo esecutivo, che esige la stabilità dei propri atti sia garantita dalla tassatività dei rimedi avverso gli atti stessi (Cass. 2434/1969). Come rileva, su tutte, Cass. 8 maggio 2003 n. 7036 “ammettere la proposizione, dopo la conclusione dell’esecuzione e la scadenza dei termini per le relative opposizioni, di azioni […] volte a contrastare gli effetti dell’esecuzione stessa sostanzialmente ponendoli nel nulla o limitandoli – è in contrasto sia con i principi ispiratori del sistema, sia con le regole specifiche relative ai modi e ai termini delle opposizioni esecutive”. Difatti, il sistema processuale non può consentire neppure in astratto la sopravvivenza di pretese di tutela degli effetti pregiudizievoli dei suoi atti al di fuori delle azioni tipiche a tanto destinate. Colui che intenda contestare la legittimità di un atto del processo esecutivo ha l’onere di dispiegare gli strumenti processuali predisposti secondo le modalità previste dalla disciplina di rito, in mancanza decade dalla possibilità di far valere le proprie ragioni. Un rimedio al di fuori dei termini dell’opposizione è configurabile solo eccezionalmente nelle situazioni in cui l’aggiudicatario non abbia incolpevolmente avuto la possibilità di azionare tempestivamente i rimedi endoprocessuali. Egli potrà dunque chiedere una rimessione in termini se il processo esecutivo è ancora pendente e se ne ricorrono tutti i presupposti, disporre di un’azione autonoma qualora il processo esecutivo non sia più pendente.
In definitiva, ritiene il collegio che correttamente è stato applicato alla specie il seguente principio di diritto: “l’aggiudicatario di un bene pignorato ha l’onere di far valere l’ipotesi di aliud pro alio con il solo rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi e quest’ultima deve essere esperita comunque – nel limite temporale massimo dell’esaurimento della fase satisfattiva dell’espropriazione forzata, costituito dalla definitiva approvazione del progetto di distribuzione – entro il termine perentorio di venti giorni dalla legale conoscenza dell’atto viziato, ovvero dal momento in cui la conoscenza del vizio si è conseguita o sarebbe stata conseguibile secondo una diligenza ordinaria” Cass. Civ. n. 7708/2014.